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La clownerie in camera iperbarica: la storia di Linda e Carlotta

Scritto da Redazione Centro Iperbarico di Ravenna il 25/ 05/ 2011

Il 7 maggio a Roma al V° forum Fratelli di Sangue, un congresso di onlus in cui era presente anche la Federazione Nazionale Clowndottori, la dottoressa Linda Venturi ha fatto una relazione raccontando la sua esperienza di medico-clown nell'assistere in camera iperbarica la piccola paziente Carlotta Alpi. Il pubblico l'ha ascoltata con interesse per poi lasciarsi pervadere da un'intensa emozione. La stessa emozione che ci ha spinto a condividere il suo racconto con i lettori le nostro blog.


Carlotta è affetta da sindrome di Leight malattia metabolica ereditaria neurodegenerativa progressiva, che consiste in lesioni focali bilaterali in una o più aree del sistema nervoso centrale localizzata specialmente nel talamo e nel cervelletto. I sintomi sono: attacchi epilettici, funzioni motorie e intellettuali ridotte, infezioni intercorrenti, encefalopatia, perdita delle pietre miliari verbali.

La prima volta che incontrai Carlotta, su richiesta di una associazione faentina, la bimba aveva tre anni. Pronunciava solo tre parole: “mamma, cracker, coca”, si reggeva in piedi grazie a degli adduttori posizionati alle gambe e camminava sorretta perché non aveva il senso dell’equilibrio. Con la bambina lavoravamo sempre in coppia con un collega. All’inizio l’approccio è stato difficile: essendo molto ospedalizzata la presenza di estranei nel suo spazio cognitivo le ricordava manovre mediche. Allora era seguita dall’Istituto Besta di Milano.

La famiglia tramite Internet venne a sapere di trattamenti di ossigenoterapia in camera iperbarica in Florida e si attivò presso la comunità cittadina affinché ci fosse una raccolta fondi per tentare questa terapia. L’incendio della camera monoposto e la conseguente morte del paziente la fecero desistere dal recarsi in Florida (maggio 2009). Interessammo allora il Centro iperbarico di Ravenna che si fece parte attiva per istituire un protocollo sperimentale in accordo con la Ausl Ravenna. Questo perché la Società Italiana di Medicina Subacquea e Iperbarica ribadisce che l’utilizzo dell'ossigenoterapia iperbarica nelle patologie cerebrali croniche non ha evidenza di comprovata utilità e si può operare solo nell’ambito di una sperimentazione.

Nel maggio 2009, Carlotta iniziò cosi un ciclo di 15 sedute nell’arco di 3 settimane: il costo della terapia era a carico dell’AUSL di Ravenna. Il Centro iperbarico di Ravenna dispone di due camere iperbariche, ogni camera ha quattordici posti. Durante il trattamento Carlotta era l’unica paziente, con lei entrava la madre, un medico rianimatore e io (dottore clown). Si pressurizzava la camera portandola a quota 1,7 bar equivalente a sette metri di profondità. Durante ciascuna terapia, Carlotta indossava un casco trasparente nel quale veniva immesso ossigeno per la durata di 15 minuti poi si riposava per altri cinque minuti respirando aria ambiente, questo ripetuto per tre volte nell’arco di un’ora. Il mio lavoro consisteva nel fare accettare alla paziente di indossare il casco, esperienza di per sé traumatica per Carlotta in quanto lei perdeva il controllo della situazione. Inoltre avevo il compito di far sì che in lei non insorgesse una agitazione tale da provocarle acidosi, pericolosa perché facilita l’insorgenza di crisi epilettiche e respiratorie nella sindrome di Leight.

Sin dalle prime sedute si è notato un forte miglioramento nella deambulazione e nella elaborazione dei concetti: cioè a ogni domanda a lei fatta, non faceva intercorrere la fase di vuoto in cui elaborava la richiesta ricevuta e la conseguente risposta.

Come operare dato che il casco è suddiviso in due parti: una membrana blu che avvolge il collo alla quale viene agganciato il casco vero e proprio. Per fare accettare il collare e il casco, indossavo un collare rigido blu e due analoghi li facevo indossare ai pupazzi CICCIO, il cane di casa e a POOH. Applicavo manovre di scarico dell’ansia nel momento dell’allaccio del casco consistenti nel lanciare in aria, insieme a Carlotta, delle carte da gioco. Inoltre applicavo manovre diversive durante la terapia iperbarica che consistevano in canzoni e gioco con le bolle di sapone. Il tutto veniva ripetuto ogni volta che il casco veniva tolto e rimesso (tre volte per ciascuna seduta). Era Carlotta che richiedeva tali giochi per riprendere il controllo della situazione.

Ero abituata a lavorare in coppia col collega all’interno di una camera di ospedale che, per quanto sia lontana dal mondo normale di un bambino, presenta sempre alcuni punti di riferimento nella quotidianità come l’armadietto, il letto, i pupazzi. La camera iperbarica è un ambiente straordinario dove non esistono questi punti di riferimento alla quotidianità; di volta in volta tutto è da costruire e se certi argomenti sono significativi per una seduta, possono non esserlo per le successive. Un aiuto per ricreare la quotidianità veniva rappresentato da un pesce di pezza che facevo appendere fuori da un oblò di controllo della camera iperbarica, una volta raggiunta la pressione di trattamento stabilita.

A distanza di tre anni, con cicli di cinque sedute di ossigenoterapia di richiamo ogni tre o quattro mesi, Carlotta è molto migliorata. Questo è evidente sia dalle indagini strumentali, tipo la SPECT che, principalmente, dall’osservazione che Carlotta adesso cammina, ha acquistato equilibrio, ha aumentato il vocabolario migliorando così la sua qualità di vita. Ora Carlotta è autonoma e le sedute avvengono senza il supporto del clown dottore.

Linda Venturi, dottore clown, Associazione l'Aquilone di Iqbal.

 

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